Ricorso ex art. 127, comma 1, Costituzione per il Presidente  del
Consiglio dei Ministri (C.F.  80188230587),  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura Generale dello Stato (C.F. 80224030587), presso i cui
uffici  domicilia  in  Roma,  via   dei   Portoghesi   n.   12   (PEC
ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it), giusta  delibera  del  Consiglio
dei Ministri adottata nella riunione del 14 luglio 2022, ricorrente; 
    contro   la   Regione    Toscana    (c.f.    01386030488;    PEC:
regionetoscana@postacert.toscana.it), in persona del Presidente della
Giunta Regionale in carica, con sede  in  piazza  Duomo  10  -  50122
Firenze (FI) intimata; 
    per la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 7,
comma 1, della legge Regione Toscana  del  24  maggio  2022,  n.  15,
pubblicata nel BUR n. 26  del  3  giugno  2022,  recante  «Disciplina
dell'oleoturismo e  dell'ospitalita'  agrituristica.  Modifiche  alla
l.r. 30/2003» per violazione degli articoli 9, e 117, commi  secondo,
lett. s), e  terzo  Costituzione,  nonche'  del  principio  di  leale
collaborazione, in relazione agli articoli 1 e 41-quinquies, ottavo e
nono comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150;  al  D.M.  2  aprile
1968, n. 1444; all'art. 3 della legge 10 febbraio 2006, n.  96;  agli
articoli 135, 143 e 145 del decreto legislativo 22 gennaio  2004,  n.
42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio); 
    Con la legge 24  maggio  2022,  n.  15,  la  regione  Toscana  ha
provveduto   a   disciplinare   «l'oleoturismo»   e    «l'ospitalita'
agrituristica», anche modificando la propria legge n. 30/2003 recante
«Disciplina   delle   attivita'   agrituristiche,   delle    fattorie
didattiche, dell'enoturismo e dell'oleoturismo in Toscana». 
    In particolare, l'articolo 7, comma 1, della  predetta  legge  n.
15/22 ha modificato l'articolo 17 della l.r.  n.  30/2003,  rubricato
«Immobili destinati all'attivita' agrituristica», inserendo, al comma
1, lett. c), il numero 3-bis, volto a consentire l'utilizzo, ai  fini
dello svolgimento dell'attivita' agrituristica, «dei trasferimenti di
volumetrie disciplinati all'articolo 71, comma 2, e all'articolo  72,
comma 1, lettera a), della L.R.  65/2014,  all'interno  del  medesimo
territorio comunale o all'interno della proprieta' aziendale  la  cui
superficie sia senza soluzione di continuita' e  ricada  parzialmente
in territori di comuni confinanti, a condizione  che  si  configurino
come  uno  dei  seguenti  interventi:  a)  interventi  di   addizione
volumetrica; b) interventi di trasferimento del volume in prossimita'
di edifici esistenti e qualora questo non comporti la  necessita'  di
realizzare opere di urbanizzazione primaria». 
    Per effetto di tale modifica, l'articolo 17, comma 1, lettera c),
della legge regionale 23 giugno 2003, n. 30 risulta cosi' modificato:
«1. Possono essere utilizzati per l'attivita' agrituristica: c) salvo
i limiti e le condizioni previsti dagli strumenti  di  pianificazione
territoriale  e  urbanistica,   i   volumi   derivanti   da:   3-bis)
trasferimenti di volumetrie disciplinati all'articolo 71, comma 2,  e
all'articolo 72, comma 1, lettera a), della L.R. 65/2014, all'interno
del medesimo  territorio  comunale  o  all'interno  della  proprieta'
aziendale la cui superficie sia  senza  soluzione  di  continuita'  e
ricada parzialmente in territori di comuni confinanti,  a  condizione
che si configurino come uno dei seguenti interventi: a) interventi di
addizione volumetrica; b) interventi di trasferimento del  volume  in
prossimita' di edifici esistenti e qualora  questo  non  comporti  la
necessita' di realizzare opere di urbanizzazione primaria;». 
    L'art. 7, comma 1, della  legge  regionale  n.  15/2022  presenta
profili di illegittimita' costituzionale, in quanto, per  le  ragioni
che di seguito si illustrano, risulta lesivo dell'articolo 117, terzo
comma della Costituzione, per contrasto con i  principi  fondamentali
statali in materia di governo del territorio stabiliti  dall'articolo
41-quinquies della legge n. 1150  del  1942 -  come  attuato  con  il
decreto ministeriale n. 1444 del 1968 - e dall'articolo 3 della legge
10 febbraio 2006, n. 96; dell'articolo 117, secondo comma, lett.  s),
della Costituzione, rispetto al quale costituiscono norme  interposte
gli articoli 135, 143 e 145 del  Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio, poiche' incide  sulla  pianificazione  paesaggistica,  con
invasione  della  competenza  legislativa  esclusiva   dello   Stato;
dell'articolo 9 della Costituzione, che sancisce la  rilevanza  della
tutela del paesaggio  quale  interesse  primario  e  assoluto  (Corte
costituzionale n. 367 del 2007), in considerazione  dell'abbassamento
del livello della  tutela  del  paesaggio;  del  principio  di  leale
collaborazione, per violazione dell'impegno assunto dalla Regione con
il Piano di indirizzo territoriale  a  consentire  l'edificazione  di
nuovi volumi in zona agricola in casi eccezionali e residuali. 
    Il Presidente del Consiglio dei Ministri  propone,  pertanto,  il
presente ricorso, affidato ai seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
    1. Illegittimita' dell'art. 7, comma 1,  della  legge  24  maggio
2022, n.  15  per  violazione  117,  terzo  comma,  Costituzione,  in
riferimento agli articoli 1 e  41-quinquies,  ottavo  e  nono  comma,
della legge 17 agosto 1942, n. 1150; al D.M. 2 aprile 1968,  n.  1444
(articoli 2, 3 5, 7, 8 e 9), all'art. 3 della legge 10 febbraio 2006,
n. 96, 
    La novella in esame consente trasferimenti di volumetria in  zona
agricola  e,   conseguentemente,   nuove   edificazioni   finalizzate
all'attivita'  agrituristica,  in  violazione  delle   stringenti   e
particolari limitazioni  poste  all'attivita'  edificatoria  in  zone
agricole  dalla  legge  17  agosto  1942,   n.   1150   (c.d.   Legge
Urbanistica), al fine di «favorire il disurbanamento e di frenare  la
tendenza all'urbanesimo» (art. 1 della citata legge). 
    Per  il  conseguimento  di  tali  finalita',  la   stessa   legge
urbanistica, all'articolo 41-quinquies, commi ottavo e nono,  prevede
rispettivamente  che:  «[8.]  In  tutti  i  comuni,  ai  fini   della
formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli
esistenti, debbono essere osservati limiti inderogabili  di  densita'
edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonche'  rapporti
massimi  tra  spazi  destinati  agli  insediamenti   residenziali   e
produttivi e spazi pubblici o riservati alle attivita' collettive,  a
verde pubblico o a parcheggi. [9.] I limiti e i rapporti previsti dal
precedente comma sono definiti per zone  territoriali  omogenee,  con
decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con quello per
l'interno, sentito il Consiglio superiore  dei  lavori  pubblici.  In
sede di prima applicazione della presente legge, tale  decreto  viene
emanato entro sei mesi dall'entrata in vigore della medesima». 
    In   attuazione   della   predetta   disposizione,   il   decreto
ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, ha individuato, all'articolo  2,
lettera e), tra le «zone di territorio omogenee», anche «le parti del
territorio destinate ad usi agricoli, escluse quelle in  cui -  fermo
restando il carattere agricolo delle stesse - il frazionamento  delle
proprieta' richieda insediamenti da considerare come zone». 
    Il citato D.M. n. 1444 del 1968 definisce  non  solo  i  rapporti
massimi tra gli spazi  destinati  agli  insediamenti  residenziali  e
produttivi  e  gli  spazi  pubblici  o   riservati   alle   attivita'
collettive, a verde pubblico o a parcheggi (art. 3 e 5)  fissando  le
quantita' minime di queste ultime, ma anche i limiti inderogabili  di
densita' edilizia (art. 7), di altezza degli edifici (art.  8)  e  di
distanza tra i fabbricati  (art.  9)  che  vanno  rispettati  per  le
diverse zone territoriali omogenee. 
    In particolare,  per  quanto  attiene  alle  zone  agricole,  per
tutelare il paesaggio e l'ambiente  e  per  controllare  la  densita'
edilizia, e' prevista  la  sostanziale  inedificabilita'.  Anche  nei
limitati casi in cui e' ammessa l'attivita' edificatoria  nelle  zone
agricole, la stessa e'  estremamente  ridotta,  ed  e'  stabilito  un
limite massimo e inderogabile con indice di edificabilita' a fini  di
insediamento residenziale pari a 0,03 metri  cubi  per  metro  quadro
(cfr. articolo 7, n. 4), del d.m. n. 1444 del 1968). 
    Nell'ottica delle stesse finalita'  di  salvaguardia  delle  zone
agricole, l'articolo 3 della legge 10 febbraio 2006, n.  96,  recante
«Disciplina dell'agriturismo» prevede che: «Possono essere utilizzati
per attivita'  agrituristiche  gli  edifici  o  parte  di  essi  gia'
esistenti  nel  fondo»  (comma  1)  «Le  regioni   disciplinano   gli
interventi per il recupero del patrimonio edilizio esistente  ad  uso
dell'imprenditore  agricolo  ai  fini  dell'esercizio  di   attivita'
agrituristiche,  nel  rispetto   delle   specifiche   caratteristiche
tipologiche  e   architettoniche,   nonche'   delle   caratteristiche
paesaggistico-ambientali dei luoghi» (comma 2). «I locali  utilizzati
ad  uso  agrituristico  sono  assimilabili  ad  ogni   effetto   alle
abitazioni rurali» (comma 3). (enfasi aggiunta). 
    La disciplina statale stabilisce, dunque, che: 
      (i) l'esercizio dell'agriturismo debba avvenire in edifici gia'
esistenti sul fondo, eventualmente oggetto di interventi di  recupero
del patrimonio edilizio esistente, e che non sia invece consentita, a
tal fine, la realizzazione di interventi di nuova costruzione; 
      (ii)  i  locali   utilizzati   ad   uso   agrituristico   siano
assimilabili a ogni effetto  alle  abitazioni  rurali  e,  quindi,  i
relativi volumi debbano essere presi in considerazione  ai  fini  del
calcolo delle potenzialita' edificatorie,  nel  rispetto  dell'indice
volumetrico di cui al richiamato articolo 7, n. 4), del d.m. n.  1444
del 1968. 
    Con riferimento alla nozione di  interventi  di  ristrutturazione
edilizia, come definiti dall'articolo 3, comma 1, lett. d), del  TUE,
la giurisprudenza ha chiarito che «la  ristrutturazione  edilizia  si
caratterizza  per  la  diversita'  dell'organismo  edilizio  prodotto
dall'intervento  di  trasformazione  rispetto  al  precedente  (Cons.
Stato, sez. VI, 14 ottobre 2016, n. 4267 e 27 aprile 2016,  n.  1619;
sez. V, 12 novembre 2015, n. 5184) e  che  essa  si  distingue  dalla
nuova  costruzione  perche'  mentre   quest'ultima   presuppone   una
trasformazione  del  territorio,  la   ristrutturazione   e'   invece
caratterizzata dalla preesistenza di un  manufatto,  in  quanto  tale
trasformazione vi e' in precedenza gia' stata (Cons. Stato, sez.  IV,
7 aprile 2015, n. 1763; 12 maggio 2014, n. 2397; 6 dicembre 2013,  n.
5822; 30 marzo 2013, n. 2972)» (Cons.  Stato,  Sez.  IV,  12  ottobre
2017, n. 4728). 
    La nozione di ristrutturazione edilizia  va  quindi  interpretata
tenendo  conto  della  necessita'  che   permanga   pur   sempre   un
collegamento che consenta di ritenere che il manufatto  demolito  sia
quello stesso che viene ricostruito. Conseguentemente, se e' vero che
la ricostruzione  puo'  avvenire  con  modifica  dei  vari  parametri
edilizi, tuttavia tale ricostruzione deve  comunque  avvenire  in  un
sedime che, seppure  non  coincidente,  deve  essere  necessariamente
prossimo a quello originario, e certamente localizzato  nello  stesso
lotto urbanistico ove si trovava l'immobile  demolito.  Diversamente,
non sara' possibile parlare  di  ristrutturazione  edilizia,  dovendo
ravvisarsi un intervento di nuova costruzione, in quanto viene reciso
ogni legame con il volume demolito. 
    La traslazione di volumi edilizi su un  lotto  diverso  comporta,
infatti, il mutamento del carico urbanistico ascrivibile al lotto  di
destinazione e, quindi, si configura come un intervento che, come  ha
ritenuto il Consiglio di Stato, determina  una  nuova  trasformazione
del territorio. 
    Deve, altresi', evidenziarsi che la legge  regionale  n.  30  del
2003 non riproduce le disposizioni dell'articolo 3,  comma  3,  della
legge n. 96 del  2006,  secondo  cui  «I  locali  utilizzati  ad  uso
agrituristico sono  assimilabili  ad  ogni  effetto  alle  abitazioni
rurali»), ma, all'articolo 17,  comma  2,  stabilisce  soltanto,  che
«L'attivita' agrituristica puo' essere  svolta  sia  in  edifici  con
destinazione d'uso a fini agricoli che in edifici  classificati  come
civile abitazione». Ne deriva che i trasferimenti  di  volumetria  in
zona agricola previsti dalla legge regionale non  risultano  soggetti
al limite di volumetria stabilito per le edificazioni residenziali in
zona agricola, previsto dall'articolo 7, n. 4), del d.m. n. 1444  del
1968 e operante anche ai fini della destinazione ad  agriturismo,  in
virtu' dell'articolo 3, comma 3, della legge n. 96 del 2006. 
    La ratio del predetto articolo 3 e' stata  ampiamente  illustrata
dalla giurisprudenza di codesta Corte, la quale nella sentenza n.  96
del 2012, ha affermato che «L'art. 3, comma 1, della legge n. 96  del
2006 - come pure l'art. 3, primo  comma,  della  precedente  legge  5
dicembre 1985, n. 730  (Disciplina  dell'agriturismo) -  contiene  un
principio  fondamentale,  la  cui  ratio  e'  quella  di   promuovere
l'attivita' agrituristica,  senza  tuttavia  consentire  edificazioni
nuove ed estranee allo svolgimento delle attivita' agricole in  senso
stretto,  allo  scopo  di  garantire  il  mantenimento  della  natura
peculiare del territorio e preservarlo cosi' dalla proliferazione  di
fabbricati  sorti  in  vista  soltanto  dell'esercizio  di  attivita'
ricettive in immobili non facenti  parte,  ab  origine,  dell'azienda
agricola.  3.2. -  La  norma   statale   sopra   citata   si   limita
all'enunciazione di un  principio,  destinato  a  trovare  specifiche
attuazioni nelle legislazioni delle diverse Regioni,  in  conformita'
alle caratteristiche morfologiche, storiche e culturali  di  ciascuna
di esse. Tale principio  pone  un  limite  rigoroso,  escludendo  che
possano  essere  destinati  ad   attivita'   agrituristiche   edifici
costruiti ad hoc, non «gia' esistenti sul  fondo»  prima  dell'inizio
delle attivita' medesime. Si vuole in sostanza prevenire  il  sorgere
ed il moltiplicarsi di attivita' puramente turistiche, che  finiscano
con il prevalere  su  quelle  agricole,  in  violazione  della  norma
codicistica prima citata e con l'effetto pratico di uno  snaturamento
del  territorio,  usufruendo  peraltro  delle  agevolazioni   fiscali
previste per le  vere  e  proprie  attivita'  ricettive  connesse  al
prevalente esercizio dell'impresa agricola». 
    La disciplina prevista dall'impugnata norma della legge regionale
n. 15/22, infatti, nel consentire i trasferimenti di volumetrie  solo
per gli immobili appartenenti al patrimonio  rurale  esistente,  pone
effettivamente precisi limiti che dovrebbero tutelare  il  territorio
rurale, prevedendo che i trasferimenti, fermi restando i limiti e  le
condizioni previsti dagli strumenti di pianificazione territoriale  e
urbanistica,  possano  essere  effettuati   all'interno   dell'intero
territorio comunale o all'interno della proprieta' aziendale  la  cui
superficie sia senza soluzione di continuita' e  ricada  parzialmente
in territori di comuni confinanti, a condizione  che  si  configurino
come  uno  dei  seguenti  interventi:  a)  interventi  di   addizione
volumetrica; b) interventi di trasferimento del volume in prossimita'
di edifici esistenti e qualora questo non comporti la  necessita'  di
realizzare opere di urbanizzazione primaria. 
    La disposizione regionale risulta, tuttavia, lesiva dell'articolo
117, terzo comma, della Costituzione, ponendosi in  contrasto  con  i
principi fondamentali in materia di governo  del  territorio  di  cui
all'articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge 17 agosto
1942, n. 1150, che impone il  rispetto  dei  limiti  inderogabili  di
densita'  edilizia  previsti  per  le  diverse  zone  del  territorio
comunale,  come  declinati  per  le   zone   agricole   dal   decreto
ministeriale  n.  1444  del  1968,  il  quale  fissa  un  indice   di
edificabilita', disponendo che,  all'interno  di  questi  ambiti,  e'
prescritta per le abitazioni la massima densita' fondiaria di mc 0,03
per metro quadro, e con l'articolo 3 della legge n. 96 del 2006. 
    La disciplina regionale in esame, ponendosi in contrasto  con  la
ratio della prescrizione contenuta nel d.m. 1444 del 1968, determina,
infatti,  il  rischio  di  una   indiscriminata   proliferazione   di
volumetrie nelle aree agricole, con  consequenziale  superamento  dei
suddetti  limiti   di   densita',   mediante   trasferimenti   (anche
«extrafondo») di cubatura. 
    Nel caso in esame, infatti, la traslazione di volumi al di  fuori
del  contesto  nel  quale  si  trovavano  i  manufatti  demoliti,   e
potenzialmente anche a distanza di chilometri da questi  ultimi,  non
puo' che determinare la qualificazione  dell'intervento  come  «nuova
costruzione»; qualificazione che e' gia' sufficiente a  far  emergere
il contrasto insanabile  della  legge  regionale  con  la  previsione
dell'articolo 3 della legge n.  96  del  2006,  secondo  cui  possono
essere destinati ad agriturismo esclusivamente  volumi  edilizi  gia'
esistenti sul fondo. 
    Il predetto decreto ministeriale,  infatti,  nel  prescrivere  la
suddivisione del territorio comunale in zone  territoriali  omogenee,
persegue lo scopo di garantirne un assetto ordinato. 
    I limiti cosi'  imposti  hanno  efficacia  vincolante  anche  nei
confronti  del  legislatore  regionale,  come  peraltro  chiarito  da
codesta Corte costituzionale, secondo cui «[...] i limiti fissati dal
D.M. n. 1444 del 1968, che  trova  il  proprio  fondamento  nell'art.
41-quinquies, commi 8 e 9, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge
urbanistica), hanno efficacia vincolante anche verso  il  legislatore
regionale (ad esempio, sentenza n. 232 del  2005)  [...]  costituendo
essi principi fondamentali della materia, in particolare come  limiti
massimi  di  densita'  edilizia  a  tutela  del  «primario  interesse
generale all'ordinato sviluppo urbano» (Corte  costituzionale,  sent.
20 ottobre 2020, n. 217). 
    Allorche', dunque, - come nel caso di  specie  e'  avvenuto -  il
legislatore  regionale  introduce  arbitrariamente  deroghe  a   tali
limiti, consentendo trasferimenti di  volumetria  in  zona  agricola,
ammette  interventi  che  possono  potenzialmente  cagionare  effetti
gravemente pregiudizievoli per il  territorio,  in  quanto  idonei  a
determinare un aggravio del carico  urbanistico/edilizio  nelle  aree
interessate e, come si e' sopra  evidenziato,  la  proliferazione  di
volumetrie nelle aree agricole, con esiti arbitrari e irragionevoli. 
    Sul punto, va  infatti  ribadito  che  in  base  alla  disciplina
urbanistica la  delocalizzazione  e'  da  considerarsi  a  tutti  gli
effetti una nuova costruzione (art. 3 TUE), e comunque lo spostamento
di volumetrie edilizie entro lotti a destinazione agricola, senza  il
rispetto del limite volumetrico stabilito dal decreto ministeriale n.
1444 del 1968 (non richiamato dalla norma  impugnata),  determina  di
per se' la violazione della lettera e della  ratio  della  disciplina
concernente l'edificazione in zona agricola, la quale  e'  diretta  a
contenere,  non  solo  la  quantita'  totale   dei   volumi   edilizi
realizzabili nelle zone agricole, ma anche la loro concentrazione sul
singolo lotto, proprio allo scopo di evitare la creazione di  veri  e
propri insediamenti urbani in zona agricola. 
    La legge regionale in esame si pone,  dunque,  in  contrasto  con
l'articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge  17  agosto
1942,  n.  1150,  cosi'  come  declinato   per   le   zone   agricole
dall'articolo 7, n. 4 del decreto  ministeriale  n.  1444  del  1968,
nonche' con l'articolo 3 della legge n. 96 del 2006, violando  l'art.
117, terzo comma, Costituzione, con riferimento alla materia «governo
del  territorio»,  della  quale  le  predette  disposizioni   statali
costituiscono principi fondamentali vincolanti per le Regioni. 
    Con  l'impugnata  norma  il  legislatore  regionale  ha,  quindi,
esorbitato dai limiti della propria potesta'  normativa  che  codesta
Corte ha individuato nella determinazione delle modalita' concrete di
attuazione dei principi fondamentali posti dalla disciplina statale. 
    2. Illegittimita' dell'art. 7, comma 1,  della  legge  24  maggio
2022, n. 15, per violazione degli articoli 117, secondo  comma,  e  9
Costituzione, in riferimento agli articoli 135, 143 e 145 del decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali  e  del
paesaggio), all'art. 3 della legge 96 del 10 febbraio 2006,  all'art.
7, n. 4 del D.M. n. 1444 del 1968,  e  per  violazione  principio  di
leale collaborazione. 
    L'impugnata norma regionale contrasta, altresi',  con  l'articolo
117, comma secondo, lettera s), Costituzione,  poiche'  incide  sulla
pianificazione paesaggistica,  invadendo  la  competenza  legislativa
esclusiva dello Stato, attuata dagli articoli  135,  143  e  145  del
Codice dei beni culturali e del paesaggio,  in  quanto  non  risponde
alla finalita' indicata dal Piano  di  indirizzo  territoriale  della
Regione Toscana (PIT). 
    Infatti,  la  disciplina   del   vigente   Piano   di   indirizzo
territoriale con  valenza  paesaggistica  della  Toscana,  frutto  di
intesa con lo  Stato,  stabilisce,  quale  obiettivo  dell'invariante
strutturale  «I  caratteri  morfotipologici  dei   paesaggi   rurali»
relativi al paesaggio rurale, «il contenimento di  ulteriori  consumi
di suolo rurale» (articolo 11 della Disciplina del PIT). 
    In base alla  suddetta  disposizione,  rispondente  all'obiettivo
europeo  di  azzeramento  del  consumo  di  suolo  entro   il   2050,
l'edificazione di nuovi volumi in zona agricola deve avere  carattere
eccezionale e residuale, risultando giustificata soltanto in presenza
di esigenze che non possono essere soddisfatte diversamente. 
    L'impugnata  disciplina,  che  determina  la  trasformazione  del
territorio attraverso i suddetti trasferimenti di volumetria in  zona
agricola, e' stata adottata dalla Regione in via del tutto autonoma e
avulsa dal quadro di  riferimento  costituito  dalle  previsioni  del
piano paesaggistico. Quest'ultimo - che deve essere elaborato secondo
il modulo della pianificazione  concertata  e  condivisa,  prescritto
dalle norme statali (articoli 135, 143 e 145 cod.  beni  culturali) -
costituisce il solo strumento idoneo a garantire l'ordinato  sviluppo
urbanistico e a individuare  le  trasformazioni  compatibili  con  le
prescrizioni statali del citato codice. 
    L'articolo 135 del Codice dei  beni  culturali  e  del  paesaggio
(decreto legislativo n. 42/2004), invero, dispone che lo Stato  e  le
Regioni assicurano la conoscenza, la salvaguardia, la  pianificazione
e la  gestione  del  territorio  in  ragione  dei  differenti  valori
espressi dai diversi contesti  che  lo  costituiscono.  A  tal  fine,
devono sottoporre a specifica normativa d'uso  lo  stesso  territorio
mediante piani paesaggistici, ovvero piani urbanistici - territoriali
con  specifica  considerazione  dei  valori  paesaggistici,  la   cui
elaborazione deve avvenire congiuntamente tra  Ministero  e  Regioni.
Cio' in ragione della competenza esclusiva statale in ordine ai  beni
paesaggistici. 
    L'art. 143 descrive il contenuto del piano, che  e'  ricognitivo,
prescrittivo e propositivo. 
    L'art. 145, comma 3, sancisce il  principio  di  sovraordinazione
dei piani paesaggistici rispetto  a  tutti  gli  altri  strumenti  di
pianificazione territoriale. 
    Nel nostro ordinamento, dunque, in materia  di  pianificazione  e
tutela del territorio e dei beni ambientali, da un lato gli strumenti
di tutela dei valori paesaggistici sono sovraordinati e  cogenti  per
gli assetti regionali e  comunali  (da  ultimo  Corte  costituzionale
sentenza 5666/21; in termini sentenza 1190/21: «In materia di  tutela
paesaggistica le disposizioni  dei  relativi  piani  sono  prevalenti
sulle  disposizioni  contenute  negli  atti  di   pianificazione   ad
incidenza  territoriale  previsti  dalle  normative   di   settore»);
dall'altro  vi  e'  un  principio  di  leale  collaborazione,   nella
individuazione dei piani paesaggistici e nella  loro  applicazione  e
tutela. 
    Entrambi  questi  principi  risultano  violati  dalla   normativa
impugnata, anche in considerazione del mancato rispetto  dell'impegno
assunto dalla Regione  con  il  Piano  di  indirizzo  territoriale  a
consentire l'edificazione di nuovi volumi in zona  agricola  in  casi
eccezionali e residuali. 
    Inoltre,  l'articolo  7,  comma  1  della  legge   regionale   in
questione, determina un abbassamento  di  tutela  del  paesaggio,  in
violazione anche dell'art. 9 della Costituzione, che ne  sancisce  la
rilevanza quale interesse primario e assoluto  (Corte  costituzionale
n. 367 del 2007). 
    Difatti, nonostante l'impegno espressamente previsto nel Piano di
indirizzo territoriale con valenza paesaggistica,  frutto  di  intesa
con lo Stato, l'edificazione di nuovi volumi in  zona  agricola  deve
avere carattere  eccezionale  e  residuale,  risultando  giustificata
soltanto in presenza di esigenze che non possono  essere  soddisfatte
diversamente. 
    La  norma  regionale  impugnata,  al   contrario,   comporta   la
delocalizzazione -   proprio   in   zona   agricola -    di    volumi
originariamente esistenti in altre porzioni del territorio comunale o
anche dal territorio di altri comuni, e cio' sulla base di una scelta
dell'imprenditore agrituristico, senza che emergano elementi  atti  a
dimostrare l'assoluta necessarieta' di tali ulteriori volumi edilizi. 
    Al  riguardo,  si  evidenzia   come   il   limite   massimo -   e
inderogabile -  di  edificabilita'  in  zona   agricola   rappresenta
principio informatore del d.m. n. 1444 del 1968, ed e' da  intendersi
riferito al singolo lotto, non gia' alla  zona  agricola  interamente
considerata. La circostanza che i volumi oggetto  del  trasferimento,
avendo a oggetto  immobili  gia'  esistenti  sul  fondo  e  destinati
comunque allo svolgimento delle  attivita'  agricole,  rientrerebbero
fra quelli gia' ammessi nella zona agricola in considerazione, non e'
idonea   a   sottrarre   la   norma   alla   dedotta    censura    di
incostituzionalita'. 
    Invero, la concentrazione su un unico lotto di volumi provenienti
da altri lotti, deve ritenersi preclusa, in  quanto  tale  operazione
verrebbe a creare un  vero  e  proprio  insediamento  abitativo,  una
lottizzazione, che - com'e' noto - e' vietata in zona agricola. 
    Deve infatti tenersi presente che  i  volumi  delocalizzati,  una
volta «atterrati» in zona agricola e destinati ad  agriturismo,  sono
da qualificare come volumi residenziali, in base  a  quanto  previsto
dall'articolo 3, comma 3 della legge n. 96 del 2006. 
    Come detto, la legge regionale consente di delocalizzare volumi a
destinazione rurale presenti nello stesso Comune,  anche  a  notevole
distanza rispetto all'area c.d. «di atterraggio», o addirittura anche
volumi esistenti nel territorio di altri Comuni, purche'  all'interno
della stessa azienda agricola. Tale  spostamento  determina,  quindi,
necessariamente un incremento del carico  urbanistico  nel  lotto  di
«atterraggio», in quanto si tratta di volumi abitativi che non  erano
presenti nel medesimo lotto e che potrebbero provenire anche da  siti
posti a molti chilometri di distanza rispetto all'area di intervento. 
    In tal modo, la legge regionale realizza dunque un meccanismo  di
elusione dei limiti all'edificazione residenziale  in  zona  agricola
previsti dall'articolo 7,  n.  4  del  d.m.  n.  1444  del  1968,  in
combinato disposto con l'articolo 3  della  legge  n.  96  del  2006,
perche' consente di cumulare su un fondo agricolo volumi  rurali  non
preesistenti su quel fondo, per destinarli ad agriturismo. 
    In tal modo si vanifica  lo  scopo  stesso  della  pianificazione
paesaggistica, che tende a valutare le trasformazioni del  territorio
non in modo  parcellizzato,  ma  nell'ambito  di  una  considerazione
complessiva del contesto tutelato specificamente demandata  al  piano
paesaggistico. 
    Con l'impugnata norma, quindi, la Regione manifestamente elude il
principio  posto  dal  piano,  secondo  cui  l'edificazione  in  zona
agricola ha carattere del tutto eccezionale e residuale. 
    In  proposito,  con  una  recente  sentenza  codesta   Corte   ha
dichiarato l'illegittimita' costituzionale di una  legge  regionale -
peraltro di una Regione a statuto speciale - che, nel  consentire  la
proroga di disposizioni in deroga  alla  pianificazione  urbanistica,
ammetteva reiterati e rilevanti incrementi volumetrici del patrimonio
edilizio esistente, isolatamente  considerati  e  svincolati  da  una
organica disciplina del  governo  del  territorio  cosi'  trascurando
l'interesse   all'ordinato   sviluppo   edilizio,    proprio    della
pianificazione urbanistica, e cosi'  danneggiando  il  territorio  in
tutte le sue connesse componenti e, primariamente,  nel  suo  aspetto
paesaggistico e ambientale (Corte costituzionale,  sent.  28  gennaio
2022, n. 24). 
    La disciplina regionale  impugnata,  dunque,  si  pone  anche  in
contrasto col principio di leale collaborazione cui si  informano  le
norme del Codice dei beni culturali e del paesaggio, e determina  una
lesione della sfera di competenza statale in materia  di  tutela  del
paesaggio, in considerazione della violazione del richiamato impegno,
assunto dalla Regione, a consentire l'edificazione di nuovi volumi in
zona agricola in casi eccezionali e residuali. 
    Alla luce delle sopra esposte argomentazioni, l'articolo 7, comma
1 della legge regionale in oggetto risulta lesivo dell'articolo  117,
terzo  comma  della  Costituzione,  per  contrasto  con  i   principi
fondamentali statali in materia di governo del  territorio  stabiliti
dall'articolo 41-quinquies  della  legge  n.  1150  del  1942 -  come
attuato mediante  il  decreto  ministeriale  n.  1444  del  1968 -  e
dall'articolo 3 della legge 10 febbraio 2006,  n.  96;  dell'articolo
117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, rispetto  al  quale
costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143 e 145 del Codice
dei  beni  culturali  e   del   paesaggio,   poiche'   incide   sulla
pianificazione  paesaggistica,   con   invasione   della   competenza
legislativa  esclusiva  dello  Stato,   e   dell'articolo   9   della
Costituzione, che sancisce la rilevanza della  tutela  del  paesaggio
quale interesse primario e assoluto (Corte costituzionale n. 367  del
2007), in considerazione dell'abbassamento del livello  della  tutela
del paesaggio.